Ricordo di Ennio Morricone

Quell'ultimo Oscar

Nelle prime ore del 6 luglio 2020 si è spento Ennio Morricone. Quattro anni fa sbaragliava l'Academy, che dopo averlo colpevolmente trascurato pareva aver chiuso la pratica con un Oscar alla carriera nel 2007, e si guadagnava infine il suo primo riconoscimento hollywwodiano sul campo con la colonna sonora di The Hateful Height di Tarantino.

Ecco il pezzo che scrissi allora per Brescia Musica

Scorrendo le nomination agli Oscar 2016 per la miglior colonna sonora balzavano all'occhio due ineluttabili fatalità. La prima, noblesse oblige dell'Academy, era la presenza di John Williams, che pareva lì per diritto acquisito più che per reale merito immanente, giacché tutto quello che può esserci di memorabile nelle musiche per Il risveglio della forza era quanto già noto, vittoriosamente, da una quarantina d'anni, dai tempi di Una nuova speranza (ben altro discorso con la trilogia dei prequel, per la quale, specie per La vendetta dei Sith, la premiata ditta Williams ha sfornato pagine nuove di tutto rispetto). Quei temi vecchi di quarant'anni stanno però ancora lì, in lizza per il premio dei premi cinematografici, a ricordarci il tocco magico del decano dei compositori per il cinema statunitensi: che fortuna avrebbero avuto le tribolazioni politiche e familiari della “galassia lontana lontana”, le avventure di un archeologo sui generis armato di frusta se non fossero associate a quei Leitmotive? Quanto del terrore suscitato dallo Squalo Spielberg ha affidato a quel crescendo ritmico celeberrimo? E quanto del fascino della saga di Harry Potter si incarna in quel che Williams ideò per i primi film? Quale che sia il valore intrinseco della pellicola, la musica ne è vera e propria colonna portante, parte determinante della struttura, talvolta perfino preponderante, con la sua accattivante abilità nel divertirsi a rispondere e ricomporre gli interrogativo lasciati sospesi nei motivi e negli sviluppi di Brucker e del grande sinfonismo tardoromantico. Pare, perfino, talora, che un'espressione di Harrison Ford o un ingresso plateale di Darth Vader siano funzionali all'epifania sonora, vero fulcro drammaturgico, ma non si tratta di una diminutio, solo di una scelta strutturale; dopotutto, mutatis mutandis, anche la simbiosi raggiunta fra Fellini e Rota fa sì che occasionalmente ci si possa chiedere se la colonna sonora si origini da immagini e sceneggiatura o viceversa.

La seconda ineluttabile fatalità, il nome di Ennio Morricone, guardava la prima allo specchio: uguale e opposta. Noblesse oblige, certo, perché l'Oscar alla carriera del 2007 non bastava a colmare le mancanze dell'Academy nei confronti delle colonne sonore di Mission o dei film di Sergio Leone, perché il compositore romano non è secondo a nessuno nella creazione di temi profondamente caratterizzanti, drammaturgicamente determinanti (l'armonica e il vocalizzo in C'era una volta il West). Tuttavia premiare le musiche di The hateful Height non significa riparare a un vecchio torto, significa notare un capolavoro discreto, e fondamentale proprio in quanto tale.

Non ha voluto giocare solo di citazione verso il venerato maestro dello spaghetti western il devoto discepolo Quentin Tarantino nel far carte false per avere nel suo film una partitura dello stesso musicista della Trilogia del dollaro. Ha creato la condizione ideale per offrire alla colonna sonora uno spazio in filigrana, per cui mai, nella teatralissima contesa degli astiosi e odiosi ospiti dell'emporio di Minnie la musica si pone in proscenio monologando da protagonista. No, la musica pervade con discrezione, con la continuità latente di un fiume carsico, l'aria, l'atmosfera, i gelidi biancori del Wyoming, la fumosa umidità del locale, gli odori di coperte vecchie, pentole di stufato e di caffè, alcol di bassa qualità, sangue, fango e polvere da sparo. E alla fine, nel gioco corale degli otto, è la filigrana della partitura a scandire il ritmo, a dare coesione, ad aprire quei paesaggi e quei sottintesi per i quali la sceneggiatura è più pudica che mai (dopo la sequenza iniziale in diligenza, solo la narrazione – non si sa quanto veritiera – del supplizio del figlio del generale Smithers e l'analessi sulla prima strage nell'emporio). Come ha dichiarato lo stesso Morricone durante la cerimonia di premiazione, in un film (come in ogni forma di rappresentazione) la musica dice ciò che immagini e parole non possono dire: in questo caso la musica è l'unica sincera, l'unica a ricordarci dal primo fotogramma che stiamo andando verso un gioco al massacro, che ognuno ha un segreto da nascondere e nessuno dice la verità. Nessuno tranne la musica, che pertanto sembra stare in disparte, a osservare, ma alla fine è l'unica a sopravvivere. Alla fine si esce dal cinema con la consapevolezza che Morricone e Tarantino hanno saputo giocare sapientemente a nascondino con questa colonna sonora, ma che tutta l'architettura del film poggi in essa. E se nessuna scena vede la musica epica protagonista solista, rimane impresso indelebilmente il tema della corsa fatale dell'ultima diligenza per Red Rock, meccanicamente implacabile, orchestrato superbamente con quei passi pesanti nella neve, le sferzate dei violini, le insidie viscose dei fiati gravi, l'incalzare di ottoni e legni centrali.

È musica esattamente drammatica, teatrale, né epica né lirica. Non per nulla se, con un pizzico di Prokof'ev e Šostakovič, un'eco pucciniana è ben presente, è al Puccini noir del Tabarro o della Fanciulla del West (fra Minnie del saloon californiano a quella dell'emporio nel Wyoming è difficile al melomane non immaginare un gioco di citazioni) che si può guardare, al più di certi passi più feroci e spietati di Manon Lescaut o Turandot, non certo alla cantabilità più dolce e sensuale. Non ve ne sarebbe, peraltro, spazio in questo mondo violento dove, tranne forse i poveri Ed e Judy “sei cavalli”, non c'è nessun personaggio positivo, e perfino l'energica e simpatica Minnie rivela un odioso – ma realistico nel contesto – razzismo verso i messicani. Un mondo dove Daisy è un disgustoso relitto al pari dei suoi compagni di sventura e non desta nessuna pietà per i colpi che riceve fin dalla sua prima apparizione. Un mondo senza amore, dove i legami di famiglia sono legami di clan criminale, dove l'affezione per la madre o l'amicizia con Lincoln sono menzogne belle e buone, dove l'unico accenno al sesso si trova nelle umiliazioni imposte dal maggiore Warren al figlio di Smithers, non si sa se reali o immaginarie, ma di certo ricompensate dal contrappasso di una sanguinosissima agonia.

Tutti questi relitti non sarebbero che fallimenti umani in un'orgia di distruzione e autodistruzione se il meccanismo teatrale dei loro rapporti non fosse gestito con la maestria un po' folle del gioco a incastri tanto amato da Tarantino, se questo gioco non potesse contare su quel nettissimo intreccio tematico in cui lo incardina Morricone.

In un film così teatrale, la colonna sonora non assolve solo al compito di musica di scena, ma ne interpreta la visione rossiniana di “atmosfera morale” del dramma che evoca “l'abisso in cui sono per cadere” i personaggi, ne rinnova l'ideale wagneriano del tessuto orchestrale come moderno corrispettivo del coro greco, che tutto sa, comprende, compatisce e commenta.

L'Oscar alla carriera fu una doverosa compensazione di troppi riconoscimenti mancati, l'omaggio necessario al più grande compositore italiano per il cinema dopo, in ordine anagrafico, Nino Rota. Al pari di Rota, peraltro, Morricone volge la sua attività anche verso altri orizzonti, verso la sala da concerto oltre che verso quella di proiezione, ma senza che vi sia una distinzione di valore, senza che il grande mercato del film si possa considerare un ripiego di fronte a una minor popolarità dei circuiti sinfonici. Come ogni forma di integrazione fra le arti, anche il cinema per un musicista costituisce una preziosa risorsa espressiva, uno stimolo creativo fenomenale.

Tale stimolo creativo fa sì che, premiata una carriera già lunga e gloriosa, essa non si fermi e giunga al riconoscimento sul campo, all'attività viva e immanente. L'Oscar a una specifica nuova partitura strutturata e meditata con profonda cultura, a quel capolavoro che è la colonna sonora di The Hateful Eight.

 

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